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Castel di Fiori: Chiesa di Sant’Antonio

Ormai ridotta a rudere, la chiesa di Sant’Antonio Abate è situata al di fuori delle mura del borgo vicino al cimitero.

Fu fatta costruire come cappella privata dai Conti di Marsciano, che dal XIII secolo divennero signori di Castel di Fiori e degli altri castelli limitrofi come quelli di Montegiove, Parrano e Carnaiola.

Rimase in uso per oltre 150 anni finché la famiglia abbandonò il borgo.

Caduta in disuso venne sconsacrata nella metà del XIX secolo per lo stato deplorevole in cui si trovava.

Castel di Fiori: Santa Maria Maddalena

La Chiesa di Santa Maria Maddalena ad oggi non si sa quando venne costruita ma si ipotizza tra il XVII e il XVIII secolo, probabilmente sulle rovine dell’antica chiesa castellana.

La chiesa intitolata a Santa Maria Maddalena Penitente si trova all’interno delle mura di Castel di Fiori ed è stata una frequentata pieve rurale fino all’esodo dalle campagne che ha fatto seguito al secondo dopoguerra. Si tratta di un edificio costruito in pietra, a navata unica, coperta a falde sorrette da capriate lignee, separata con un arco di trionfo in mattoni dal presbiterio, sollevato su un gradino semicircolare; l’abside è coperta con botte di laterizi in foglio a vista; nella nicchia sulla parete di fondo campeggia un dipinto murale mariano; altri elementi degni di nota sono la cantoria lignea sul prospetto di controfacciata e l’edicoletta di Santa Teresina lungo la parete sinistra.

Castel di Fiori: Il borgo

L’incantevole borgo di Castel di Fiori conta una popolazione residente di qualche decina di persone alle quali si aggiungono, nella stagione estiva e nelle altre festività, numerose famiglie italiane e straniere.

Sapientemente ristrutturato il borgo ha mantenuto intatto il fascino medievale.

E’ cinto da mura con la presenza dominante del Castello (oggi in stato di rudere) e la Torre medievale.

Nella graziosa piazzetta centrale si fronteggiano il Palazzo Baronale del borgo e la Chiesa di Santa Maria Maddalena. Vari ritrovamenti archeologici nella zona, tra cui la necropoli di Poggio della Croce riconducibile ad un primo utilizzo nell’età del Bronzo protrattosi fino al VI-VII secolo d.C., testimoniano l’utilizzo della zona intorno al colle di Castel di Fiori già da epoca remota.

 

La prima notizia certa di Castel di Fiori è quella riportata nell’Ephemerides urbevetanae a cura di Luigi Fumi:

de castro acquae altae, quod praeter conscientiam urbevetani Communis, murature t aedificatur norite et vocatur Castrum Florae

(il Castello di Acqualta che, per decisione del Comune di Orvieto, sia costruito ed edificato di nuovo e sia chiamato Castello di Fiore).

Prima si chiamava Villa Acqua Alta dal nome dell’abazia di Acqua Alta ormai distrutta che sorgeva probabilmente alle pendici del colle di Castel di Fiori.

Il 13 luglio del 1350 il Castello di Castel di Fiori venne attaccato da un piccolo esercito di cavalieri e fanti, uno per ogni famiglia orvietana, armato per distruggere, mosse dalla città di Orvieto verso nord-ovest: questo era il volere dei saggi orvietani:

” …Che il castello di Brandetto, nel quale lo stesso Bulgaro si ritirò per compiere i suoi malefici, sia distrutto, così che non possa più, né lui un altro esservi accolto. Lo stesso sistema sia tenuto per il castello di Acqualta, che, senza che il comune di Orvieto lo sapesse, cinto di mura e costruito di nuovo, si chiama Casteldifiore: si debba trattare come il Brandeto”.

 

Nel 1380 il castello fu oggetto di contesa tra i Montemarte, i Monaldeschi della Vipera da una parte e i Monaldeschi della Cervara dall’altra. Agli albori del 1200 sono due le famiglie emergenti sul territorio orvietano: i Monaldeschi e Filippeschi; i primi sostenitori del papa, i secondi dell’impero. Gli strapotenti Monaldeschi vennero però in discordia tra loro e si suddivisero in quattro famiglie: Della Cervara, Dell’Aquila, Del Cane e Della Vipera riunite poi in due fazioni, dei Buffati e dei Malcorini, i cui nomi vennero poi convertiti in Muffati e Melcorini; questi ultimi seguaci del Papa, i primi dell’Imperatore. Il castello fu anche di possesso del famoso capitano di ventura il Gattamelata che a metà ‘400 possedeva anche il casello di Montegiove. In data non precisa il castello passò di proprietà alla famiglia del condottiero e per via ereditaria a Todeschina Gattamelata, sua figlia. Questa sposò il Antonio Bulgarelli Conte di Marsciano (1429-1483), e dal matrimonio nacquero tre figli Lodovico, 13 giugno 1471, Antonio [2] e Ranuccio. Seguita la divisione dei beni fraterni dei conti di Marsciano, Lodovico venne in possesso del castello di “fiore” e così, per via femminile, il Castel di Fiori ritornò agli antichi proprietari. I Conti di Marsciano mantennero la proprietà anche dopo il passaggio, alla fine del XVI secolo, allo Stato Pontificio. Da ultima si insediò la Famiglia Marocchi fino a poco dopo la guerra quando l’ultima erede “La Signorina” lasciò il patrimonio alla Chiesa che venne suddiviso ed acquistato d a privati. La storia moderna ha visto Castel di Fiori seguire le sorti di Montegabbione da cui dipendeva.

 

La sua comunità, almeno nel XVIII, secolo aveva il suo consiglio per la gestione del forno, del macello, il versamento delle imposte feudali da versare al Comune di Orvieto che ne vantava la giurisdizione. Con il motu proprio di Pio VII del 1816 il Comune di Orvieto rinunciò ai diritti feudali sul Feudo di Montegabbione e quindi sul borgo di Castel di Fiori.

Faiolo: Chiesa Santa Maria delle Rose


A Santa Maria delle Rose è intitolata l’antica chiesa di Faiolo, di bella fattura, costruita ad intravatura con cavalloni.

Nel secolo scorso il patronato della chiesa era affidato alla famiglia Caravaggi ed annessi alla stessa erano due piccoli appezzamenti di terreno.

All’interno v’è un solo altare sovrastato dall’affresco di una Madonna. Sulla destra, appena fuori dell’abside, v’è un altro affresco mariano che si può far risalire al secolo XV.

Montegabbione: Madonna del Carmine

La Chiesa della Madonna del Carmine, oggi sconsacrata, sorge sulla piana di Faiolo.
Vi era annesso alla chiesa un eremo, e all’Eremita era affidata la custodia del tempio e la cura di tre piccoli appezzamenti di terra che erano beneficio della chiesa.

Essa fu meta di pellegrinaggi. Si ricorda che S. Benedetto Giuseppe Labre (morto nel 1783) vi si fermò più volte come pellegrino e fu ospite dell’eremita fra’ Francesco da Ficulle; il 16 Aprile 1783, nottetempo, fra’ Francesco si vide comparire il suo amico che si recò subito in chiesa passando dalla scala interna.

L’eremita preparò un po’ di cena per l’ospite, e non vedendolo tornare andò a cercarlo: ma la chiesa era vuota e le porte serrate dall’interno. Lo stupore fu grande, ma aumentò nei giorni seguenti quando si venne a sapere che Giuseppe Labre era morto a Roma proprio in quella stessa sera.

 

Montegabbione: Sant’Anna


La Cappella di Sant’Anna fu eretta a metà del XIX.

Il pievano Don Luigi Galli nel 1886 scrisse: “questa Cappellina abbandonata e quasi cadente fu restaurata per cura del Pievano Galli nel 1861.”

Vi è un piccolo quadro in tela rappresentante S. Anna, in mediocre stato.

Nel 1879  vi fu fatto costruire l’altare, e per facoltà ottenuta da Mons. Briganti Vescovo Diocesano veniva  benedetta il giorno 26 luglio.

Vi si celebra la S. Messa tutti gli anni nel giorno di S. Anna, e nella sera vi si fa analoga funzione.

L’altare fino ad ora è mancante e sprovvisto di tutto l’occorrente necessario. Successivamente la cappella di Sant’Anna subì le incurie del tempo tanto che una ventina di anni dopo il nuovo parroco di Montegabbione, Don Policarpo Baldini, dovette restaurarla nuovamente.

All’inizio del 1985 ci fu un ultimo sostanziale restauro integrale, compresa la torretta campanaria ed il tetto.

L’opera, una donazione, fu portata a termine da Antonio Montagnolo, Giuseppe Montagnolo e Mechelli Edoardo. Il giorno di S. Anna dello stesso anno, nell’ ambito della festa della terza età, vi fu celebrato il battesimo di un bambino di Montegabbione.

 

Montegabbione: Madonna delle Grazie

Madonna delle Grazie Montegabbione

Madonna delle Grazie: ParticolareSi racconta che, verso la fine del XV secolo, una ragazza di 15 anni, devotissima della Madonna, scendendo dal paese verso una sorgente ai piedi del colle per attingere acqua, vide all’improvviso una bellissima Donna che, sorridendo, le raccomandò di venerarla pubblicamente in quel luogo. La giovane corse a casa e, timorosa e stupita, raccontò al sacerdote e a tutti l’accaduto. Nessuno le credette. Ritornò al luogo dell’apparizione e riferì alla sconosciuta ma bellissima Signora che tutti la deridevano. “Riempi la brocca con l’acqua della fonte – le disse la Donna – ponila capovolta sulla testa”. Così fece la ragazza, e con sorpresa di tutti non si rovesciò una goccia d’acqua. Questo prodigio convinse il Pievano e gli abitanti del paese, che si recarono a frotte alla sorgente, lodando e pregando la Signora del Cielo, Maria, e invocandola col il titolo di Madonna delle Grazie.

Nei pressi della sorgente venne poi innalzata una cappella, più tardi ampliata, diventata nel tempo Santuario di riferimento per tutta la popolazione. In origine misurava pochi metri quadrati, ma nel tempo venne ampliata e modificata, come testimoniano le visite pastorali periodiche, documentate a partire dal 1573.

Solo attraverso una loro attenta lettura è possibile ricostruire in parte la storia della Madonna delle Grazie. Essa peraltro non aveva un ruolo di primo piano, se si eccettua quello di Santuario votivo, essendo presenti nel territorio del Comune altre numerose chiese e cappelle. Di notevole interesse artistico l’affresco posto sopra l’altare maggiore rappresenta quello che gli studiosi definiscono “Madonna del latte” cioè una Madonna che allatta il bambino Gesù; si ritiene di poter attribuire il dipinto ad allievi del Perugino.

 

 

Alcuni monogrammi e croci incise nella cornice in mattoni del portone principale fanno ipotizzare l’uso della chiesa da pellegrini di passaggio nel territorio.

Montegabbione Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo

02_chiesaLa Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo è stata inaugurata nel 1876 e poggia sull’antico cimitero e sull’antica chiesa castellana.

Alla fabbrica della chiesa contribuirono tutti gli abitanti sia trasportando a braccia ogni domenica gran parte delle pietre occorrenti, sia versando il proprio contributo.

Fu costruita nel triennio 1873-1876, su progetto dell’architetto perugino Nazzareno Biscarini utilizzando i cotti della fornace di Francesco Biscarini e Raffaele Angeletti.

La chiesa, a tre navate, si eleva sulla sommità della collina di Montegabbione, bella e maestosa, grave e severa nella facciata; è tutta ornata di preziosi lavori plastici in terracotta, eseguiti con gusto squisito e raffinata precisione. Le venti finestre, tra bifore e rotonde, recavano all’origine tutte le vetrate colorate collegate in piombo.

L’annesso campanile è stato realizzato in cotto nel 1998, con il contributo di tutta la popolazione.

All’interno della chiesa vi sono tre altari, con mensa di pietra, in terracotta:

l’altare maggiore, ove svetta un crocifisso a dimensioni naturali, è dedicato all’Assunta;

l’altare di sinistra è sovrastato da un dipinto su tela raffigurante La Crocifissione di Gesù .

Nel quadro, ai piedi della Croce, dove la tradizione vorrebbe la Madre e Giovanni, l’ignoto autore pone tre personaggi cari alla pietà popolare del tempo (XVII o XVIII secolo?): San Giuseppe, padre putativo di Gesù, invocato come patrono dei moribondi (a Montegabbione c’era la Confraternita della Buona Morte); poi San Francesco d’Assisi poiché grande fu l’influsso francescano su queste terre; infine San Biagio, vescovo e martire del IV secolo, invocato come protettore in caso di mal di gola. San Biagio tiene in mano il simbolo del suo martirio: una spazzola di ferro acuminata, simile a quella usata per cardare la lana. Nel dipinto, mentre il padre putativo assiste il figlio nel trapasso, il Poverello abbraccia “sorella morte” e Biagio sembra cogliere un messaggio di salvezza. Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo . In fase di restauro si è però scoperto che sotto la figura di San Biagio si nasconde in realtà l’immagine di un cardinale, probabilmente San Carlo Borromeo, mentre sotto la figura di San Giuseppe si cela l’immagine di San Pietro, infatti risulta strana nell’iconografia classica vedere un San Giuseppe con in mano un libro, caratteristica invece dei dottori della chiesa come San Pietro appunto. Inoltre quest’ultimo avrebbe dovuto tenere in mano le chiavi al posto del giglio iconografia classica di San Giuseppe. San Pietro e San Carlo Borromeo sono i soggetti del tipico quadro della controriforma, il movimento interno alla chiesa cattolica avviato dal Concilio di Trento (1545-63) per contrastare lo sviluppo delle dottrine protestanti. Evidentemente ai cittadini di Montegabbione non deve essere piaciuto molto il soggetto di questo quadro ed una mano anonima ha sostituito il cardinale e San Pietro con San Biagio e San Giuseppe.

Di speciale pregio artistico è il pulpito, sopraelevato nella navata destra, vero gioiello in cotto, in stile gotico rinascimentale, premiato con medaglia d’argento all’esposizione umbra del 1879.

 

Nel centoventicinquesimo anniversario della fondazione di questa chiesa il Cav. Lodovico Vergari lo fece restaurare “quale atto di ringraziamento al signore e munificio dono al Vescovo di Orvieto-Todi Lucio Grandoni al parroco Giovanni Ermini e a tutto il popolo di Montegabbione. Ottobre 2001.”

Storia di Montegabbione

Le Origini

L’anno di edificazione del castrum di Montegabbione ad oggi non è noto ma è verosimilmente databile tra il X ed il XI secolo periodo in cui alcuni degli insediamenti altomedievali delle nostre zone vennero fortificati. I territori del circondario vennero abitati sin dalle epoche più remote come testimoniano le presenze dei castellieri della Torricella, nelle strette vicinanze di Montegabbione, di Poggio Murale, in prossimità di Montegiove, e di quello di Poggio della Croce a Castel di Fiori, castellieri che dai pochi studi archeologici condotti sono databili all’età del bronzo. Ritrovamenti di epoca etrusca, romana e tardo imperiale sono indicativi della continuità abitativa dei nostri luoghi. E’ proprio sul finire del primo millennio che gli studiosi segnano l’inizio, per motivi ancora non noti se non le ipotesi difensive, dello spostamento della popolazione in punti più alti come le cime delle colline di Montegabbione, Montegiove e Castel di Fiori. Non si ha però notizia certa sulla data di fondazione del castello e del borgo fortificato di Montegabbione ma verosimilmente è da collocarsi al XI secolo.

Medioevo

La sua storia dei primi secoli del secondo millennio è strettamente legata a quella della famiglia Bulgarelli, della famiglia Montemarte e più in generale del comune di Orvieto del cui territorio fece parte nel medioevo. Orvieto nella seconda metà del XIII secolo godeva di un ampio territorio sottoposto, il contado, suddiviso in borghi fortificati come Montegabbione presente nel catasto di Orvieto del 1292 con il nume Castrum Montis Guabionis. Nel catasto sono descritte le proprietà fondiarie degli abitanti; più comunemente le persone possedevano terre silvate, vineate, rufinate, cum olivis, cum quercubus, cum arboribus, cioè boschi, vigne, terre scoscese, oliveti, querceti, alberi. In occasione dell’Anno Santo o Giubileo del 1300 indetto dal Papa Bonifacio VIII, furono inviate a Roma truppe dall’Orvietano, per quello che oggi chiameremmo un servizio d’ordine o di polizia dalli Orvietani furono mandati a Roma la cavalleria del Comune per guardia e sicurezza della città e del Papa stesso, e ancora molti fanti dai castelli: Ficulle 100, Monte Gubiano (Montegabbione) 20, Carnaiola 6, Montegiove 6. Nel 1339 fu data a Nerio di nardo di Bulgaruccio, della famiglia Bulgarelli o conti di Marsciano, la custodia dei castelli di Montegabbione e Monteleone con cinquanta soldati esperti.

Per seguire le vicende che legano Montegabbione alla famiglia Bulgarelli ma soprattutto a quella dei conti di Montemarte è necessario rifarsi alle fonti cronachistiche ed alle carte di famiglia. Proprio dall’archivio della famiglia Montemarte viene una bolla di papa Gregorio XI del 1378 nella quale il papa riconoscendo la fedeltà, particolarmente apprezzabile in quei tempi difficili, dei diletti figli di Montegabbione e Monteleone li esorta ad essere ugualmente obbedienti nei confronti di Francesco Montemarte conte di Corbara. In generale la storia montegabbionese della seconda metà del trecento e la prima metà del 1400 è segnata dalle continue lotte di potere che coinvolsero Orvieto e tutto il contado tra i Bulgarelli con i vari rami, i Muffati, i Monaldeschi, i Melcorini, i Montemarte e di volta in volta coloro che appoggiarono per interessi vari le diverse fazioni. Nel 1443 Nicolò Piccinino, capitano che aveva combattuto a fianco di Braccio di Montone, a favore del Papa e della città di Orvieto assedia i castelli di Montegabbione e Monteleone difesi da Ugolino di Montemarte. La riuscita dell’assedio con gli assediati costretti a ritirarsi costringe i Montemarte a lasciare i castelli fino ad allora in loro dominio. La situazione si risolve poco dopo ritornando i dei due castelli in possesso dei Montemarte, insieme ad altri possedimenti orvietani e della possibilità di tornare in Orvieto, in cambio dell’ubbidienza al Papa ed alla Chiesa di Roma. Il possesso dei Montemarte del castello di Montegabbione termina nel 1478 quando papa Sisto IV cede il castello a suo Nipote Bartolomeo della Rovere che nel 1480, con un atto stipulato proprio a Montegabbione, vende il castello ad Orvieto. Da questo momento finiscono per sempre le dipendenze signorili di Montegabbione entrando definitivamente a far parte dei castelli soggetti alla città di Orvieto e se anche rispetto al 1292 le comunità soggette ad Orvieto diminuiscono la città vincola a se i castelli in posizione strategicamente più importanti come Montegabbione.

I Secoli Successivi

Il XVI ed il XVII secolo videro Montegabbione alle dipendenza di Orvieto e dello Stato Pontificio in un pantano politico da cui si uscì solamente dopo la prima Repubblica Romana e soprattutto dopo l’annessione dei nostri territori all’impero napoleonico nel 1809. Con la caduta di Napoleone, a fronte anche delle richieste interne papa Pio VII diede il via ad una serie di riforme innovative e, cosa più importante, mise fine ai secolari diritti feudali sui comuni. Montegabbione e Castel di Fiori, suo appodiato almeno dal 1824, dipendevano alla giurisdizione feudale del Comune di Orvieto che il 12 novembre del 1816 rinunciava a Benasso, Civitella d’Agliano, Collelongo, Montegabbione, Monteleone, Palazzo Bovarino, Ripalvella, San Venanzo e san Vito.

Montegabbione e l’Unità d’Italia

Le  guerre di indipendenza che portarono all’unità d’Italia videro alcuni volontari partire da Montegabbione per combattere per la causa unitaria. Con il plebiscito del 1860 i 285 votanti montegabbionesi si espressero all’unanimità per l’annessione. Con l’unità d’Italia e precisamente nel 1868 il Comune di Monte Giove venne soppresso e aggregato a quello di Montegabbione.

Montegabbione e il XX secolo

Dopo la prima guerra mondiale con la presa violenta del potere da parte dei fascisti anche a Montegabbione presero il comune di prepotenza e con la violenza strappandolo dalle mani dei socialisti. Con la seconda guerra mondiale e la guerra di liberazione nella penisola il 16 giugno gli inglesi del 5° Reggimento Northamptons, supportato dalla Wiltshire Yeomanry, dalla artiglieria divisionale e dai mortai da 4.2 pollici del 1° Kensingtons, attaccarono Montegabbione. Contro una fiera opposizione dei tedeschi i Northamptons ebbero alla fine la meglio, con un attacco che lo storico divisionale ha descritto come ‘una delle migliori azioni mai combattute dal battaglione’. Gli anni ’50 purtroppo videro un lento spopolamento delle campagne con una forte immigrazione tanto che Montegabbione, insieme a Gualdo Tadino, fu il paese con la percentuale più alta di emigrati.

Montegabbione Oggi

Attualmente una stabilità demografica è data da una componente di persone che ha scelto Montegabbione come meta di immigrazioni: dal flusso dei tedeschi degli anni ’80, fino alle più recenti immigrazioni dai paesi dell’est Europa e dalla Penisola Balcanica. Una lode a queste persone che hanno saputo integrarsi facendo parte con pieno merito alla comunità montegabbionese.